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Meno preti, più partecipazione attiva dei laici?

15 Ottobre 2015webmasterPensieri

In questo numero del nostro giornale parliamo ampiamente del tempo trascorso in Brasile, nella diocesi di Castanhal, stato del Parà. La ragione principale del viaggio è stata quella di accompagnare il nostro amico Paulo nel momento decisivo della sua ordinazione presbiterale. Ma i giorni trascorsi in Brasile ci hanno consentito di conoscere, seppure in maniera molto parziale, una chiesa che vive in condizioni diverse dalle nostre. E’ stata un’esperienza molto particolare che ci accompagnerà nel nuovo anno che stiamo iniziando. Tra le altre cose, ci ha colpito la sproporzione tra il numero dei preti e quello dei fedeli.

L’intera diocesi di 700.000 abitanti conta 29 preti, tra diocesani e religiosi, giovani e vecchi (fino all’età di 96 anni); molte parrocchie superano i 50.000 abitanti. Abbiamo potuto toccare con mano le conseguenze della scarsità di preti. Innanzitutto la possibilità che molte comunità hanno di partecipare alla Messa è ridotta: solo tre o quattro volte all’anno. Altra conseguenza è la difficoltà che incontra la missione dell’evangelizzazione e della catechesi. Molti cristiani hanno una conoscenza molto elementare delle ragioni della propria fede. L’apertura diffusa e sentita al dato religioso non è sufficiente di per sé a sostenere il popolo nella fedeltà alla fede genuina che è esposta ai mille diversi richiami delle innumerevoli e onnipresenti sette.

Di fronte a questi fatti mi è ritornata alla memoria una vecchia teoria pastorale che, di fronte al calo delle vocazioni, affermava: meno saranno i preti, più saranno i laici impegnati nel servizio della Chiesa. La realtà che abbiamo incontrato dimostra quanto ideologica e priva di verità fosse questa convinzione. Lo ha ricordato recentemente Papa Benedetto XVI ai vescovi brasiliani presenti a Roma per la visita ad limina: «Il numero esiguo di presbiteri potrebbe infatti portare le comunità a rassegnarsi a questa carenza, consolandosi a volte con il fatto che quest’ultima evidenzia meglio il ruolo dei fedeli laici. Ma non è la mancanza di presbiteri a giustificare una partecipazione più attiva e consistente dei laici. In realtà, quanto più i fedeli diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto più si evidenziano l’identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote come pastore dell’insieme della comunità, come testimone dell’autenticità della fede e dispensatore, in nome di Cristo-Capo, dei misteri della salvezza». Lì dove una comunità ecclesiale funziona, cioè vive come una comunità ispirata dal vangelo e tesa realmente a formare degli autentici discepoli del Signore Risorto, è spontaneo che na4 editoriale sca il desiderio, la supplica e la disponibilità a riconoscere tra i propri componenti coloro che sono toccati dai segni della chiamata al presbiterato. Ciò non vuol dire che si debba fare i conti alle comunità per confrontare chi ha più o meno vocazioni (anche se una lunga mancanza di vocazioni alla vita consacrata, sia maschile che femminile, dovrebbe seriamente interrogare una comunità) perché è solo il Signore che decide chi chiamare e, in un secondo tempo, è la libertà del chiamato che entra in gioco. Ciò che non deve mancare e che deve essere testimoniato con forza da parte di tutti i fedeli, soprattutto da quelli più impegnati, è la consapevolezza che la chiamata al presbiterato è un dono necessario che si desidera e si invoca, ed è la cura perché il chiamato possa rispondere generosamente alla vocazione.

A proposito della chiamata al presbiterato vorrei soffermarmi su un secondo tratto che caratterizza l’inizio dell’anno di seminario 2009/10. Sono sette i nuovi seminaristi che intraprendono il loro cammino di verifica vocazionale; la comunità sarà di 21 alunni, tutti indirizzati al servizio nella nostra diocesi. Per questo dono iniziamo l’anno dedicato dal Papa al sacerdozio con un profondo senso di gratitudine.
Riflettendo sulle strade percorse da questi giovani per giungere in seminario trovo in molti di loro un tratto comune: sono stati sostenuti nella delicata e, a volte, difficile decisione di entrare in seminario, dal contatto che hanno avuto con i seminaristi. Questo dato mi consola, anzi mi procura una vera gioia. Vuol dire infatti che la comunità del seminario, pur essendo una comunità che a motivo della sua particolarità può essere esposta al pericolo dell’artificio, delle relazioni non genuine, di fatto costituisce un luogo reale di comunione. Non mancano i difetti né le contraddizioni; è sempre in agguato il pericolo dell’ipocrisia e quello di sostituire il sì e la disponibilità che hanno dato inizio al cammino con la volontà di soddisfare i propri progetti o sogni. Ma il fatto che dei giovani siano aiutati dai seminaristi nella scelta più importante della loro vita è segno che la comunità offre una testimonianza di verità, di autenticità nelle relazioni, di una gioia di vivere attinta dal Signore e che permane nonostante i propri peccati e le difficoltà che attraversano ogni esistenza.

Di questo ringrazio il Signore convinto che l’autenticità della testimonianza al vangelo è garantita lì dove si diffonde per contatto, per il fascino che esercita.

Mons. Lucio Cilia

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